Negli ultimi anni la solitudine tra i giovani è diventata un fenomeno sempre più preoccupante, alimentata da dinamiche familiari fragili, ambienti scolastici poco inclusivi e relazioni sociali sempre più mediate dal digitale. In questo contesto nasce la figura del cosiddetto “incel”, abbreviazione di involuntary celibate (celibe involontario), termine che indica principalmente giovani uomini che, incapaci di instaurare relazioni affettive o sessuali, si rifugiano in comunità online dove spesso maturano sentimenti di frustrazione, isolamento e, talvolta, ostilità verso il mondo esterno.
Da dove nasce la grande solitudine che i può osservare oggi in molte parti della società e delle comunità?
È una domanda centrale quando si parla di incel, giovani uomini spesso immersi in una solitudine che si trasforma, in certi casi, in odio.
Come nasce un incel
Gli esperti e studiosi della questione spiegano che la storia di un giovane incel spesso inizia presto.
È il bambino che cresce in una casa dove viene costantemente sminuito o ignorato da uno o entrambi i genitori. A scuola, abbassa lo sguardo, fatica a sostenere quello degli altri e non ha nessuno che lo difenda dai bulli, che lo prendono di mira con precisione e costanza spietate.
Questa doppia fonte di abuso – domestico e scolastico – lo spinge a ritirarsi sempre più nel suo mondo interiore. Magari qualche compagna vorrebbe fare amicizia, ma anche lei teme le prese in giro per essersi avvicinata a “quel tipo strano”, a quel ragazzo che se ne sta sempre sulle sue e chissà con quali pensieri e bizzarrie per la testa.
Da dove vengono questi ragazzi soli?
La risposta, piegano i ricercatori, è semplice: vengono da ciò che si fa e si è fatto a loro – o da ciò che non si fa o non si è fatto per loro.
Li si trascura, li si ignora, non si costruisce intorno a loro un ambiente sicuro e inclusivo. Si agisce come se non esistessero.
Crescere da soli
Con il passare degli anni, anche chi si accorge del loro disagio raramente fa qualcosa di concreto. Nessuno si ferma davvero ad ascoltarli o a chiedere come stanno. È comprensibile che i coetanei non sappiano cosa fare per rapportarsi con loro. Ma gli adulti? Insegnanti, educatori, psicologi scolastici?
A scuola è facile dare voti per il comportamento, ma perché non adottare un sistema che consenta agli insegnanti di segnalare – senza bisogno di una formazione specifica – quei ragazzi che sono sempre soli?
Una semplice indicazione su una scheda di utilizzo comune tra gli adulti che ruotano attorno a lui: “Potrebbe aver bisogno di amici”. Un consulente scolastico, uno psicologo, un adulto di supporto alla famiglia potrebbe poi intervenire. Non sarebbe una procedura molto complicata da mettere in atto, spiegano i ricercatori.
Intervenire per tempo
Per molti giovani “incel”, quando arriva l’aiuto è troppo tardi, spiegano gli esperti.
Da adulti, cambiare è molto più difficile. Alcuni propongono servizi di coaching per appuntamenti o incontri, ma l’esperienza mostra che ciò che davvero può aiutare è la terapia – purché ci sia la volontà di cambiare.
Il problema è che molti “incel” ormai adulti, o quasi, trovano nella loro comunità online un rifugio. Dopo una vita di rifiuti, quel gruppo virtuale diventa l’unico luogo dove si sentono accettati, compresi.
Basta pensare al classico ragazzo di vent’anni, disoccupato, che vive nel seminterrato dei nonni e passa le giornate a giocare ai videogiochi, fumare cannabis e guardare pornografia. Può sembrare un caso estremo ma gli studiosi dicono che esistono davvero molti giovani come lui.
La società di oggi, a loro parere, sta già "producendo" ragazzi incel a una velocità tale che nessun terapeuta potrà mai tenere il passo per prenderli in cura tutti.
La soluzione: prevenzione
La prevenzione è sempre meglio, più efficace e anche più economica della cura.
È molto più semplice evitare che un ragazzo diventi un incel piuttosto che aiutare un giovane adulto che sia stato ignorato per anni e che ormai ha consolidato abitudini e comportamenti di vita solitaria.
Questo, spiegano gli esperti, non significa abbandonare chi è già caduto in questa trappola di solitudine autoprodotta. Ma se si vuole davvero cambiare le cose, a livello di società, occorre agire molto prima.
Le amicizie autentiche sono la base delle relazioni sane.
Un ragazzo può avere compagni di gioco online o far parte di forum pieni di odio misogino, ma niente di tutto ciò è una vera amicizia.
Se non si insegna ai giovani cosa significhi essere amici e come creare legami reali, quel ragazzo solitario già dalle scuole elementari crescerà pieno di rabbia, paura e isolamento.
È ora di prendersi cura di quelli come lui, esortano gli esperti del fenomeno, di insegnare a relazionarsi, così che questi giovani possano diventare adulti sereni, con vite ricche e piene di significato e di relazioni vere.