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Le narrazioni forniscono importanti informazioni su come i giovani danno un senso alle loro esperienze e su come e quanto siano elaborati i loro stessi racconti, sia dal punto di vista fattuale che psicologico. Sono davvero utili per osservare come ricostruiscono le storie e cosa ne ricordano.

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È quanto spiega, a partire dalla sua esperienza di studiosa, Judith Smetana, professoressa di psicologia all'Università di Rochester. Le narrazioni hanno un valore speciale, il raccontare o il nascondere cose di sé sono stati oggetto di un ampio corpus di ricerche negli ultimi due decenni.

In un recente studio pubblicato sul Journal of Adolescent la professoressa Smetana e i suoi collaboratori hanno analizzato le narrazioni di 131 adolescenti e studenti universitari che sono stati intervistati su un momento in cui hanno fatto qualcosa con cui i loro genitori non erano d'accordo o che avevano espressamente vietato.

Ai partecipanti allo studio è stato chiesto di parlare di ciascuno di questi tre scenari: un momento in cui successivamente hanno rivelato (in parte o tutto), nascosto o mentito su un'attività che i loro genitori disapprovavano.

Lo studio è il terzo di una serie, basata sulle narrazioni originariamente raccolte dalla professoressa Smetana nel 2014 e nel 2015. Il primo studio (2019) ha esaminato le “lezioni” apprese dagli adolescenti su se stessi e sui loro genitori, mentre il secondo (2021) ha esaminato le emozioni degli adolescenti quando hanno riflettuto sulle tre situazioni che avevano raccontato.

Per lo studio più recente, il gruppo di ricerca ha valutato le interviste in base alla volontarietà, ai tempi, alla coerenza e alle lezioni apprese. Parte della ricerca ha affrontato il presupposto frequente secondo cui la rivelazione è volontaria, vale a dire che gli adolescenti che dicono tutta o parte della verità lo fanno di propria volontà. "Ma non è sempre così, ed è ciò che sospettavamo e, in effetti, abbiamo poi riscontrato" afferma la Smetana.

Come la maggior parte dei genitori sa – e come è stato dimostrato in ricerche precedenti – quando i ragazzi diventano adolescenti, la loro volontà di condividere informazioni e tenere i genitori informati diminuisce, mentre aumenta la segretezza.

"In parte, si tratta dello sviluppo dell'autonomia e del fatto che gli adolescenti fanno ormai facilmente ciò che vogliono, anche se ciò comprende comportamenti rischiosi".

Gli adolescenti rivelano informazioni ai propri genitori principalmente volontariamente (40%) o strategicamente (47%) – o come mezzo per raggiungere un fine, come dire la verità su una festa per la quale potrebbero aver bisogno di un passaggio, o preventivamente perché sospettano che i loro genitori lo scopriranno comunque.

"È significativo" che solo il 40% dei partecipanti allo studio abbia rivelato le informazioni salienti di propria volontà: "molto meno" di quanto si presume comunemente, afferma la ricercatrice.

Il gruppo di studiosi ha scoperto che il dire o rivelare la verità involontariamente è molto meno frequente (13%) e potrebbe riguardare il fatto che sfugga a un amico per sbaglio, che un adolescente ad esempio si faccia un tatuaggio che alla fine viene visto dai genitori, o che i genitori lo spingano a dirlo.

Il tempismo gioca un ruolo cruciale: gli adolescenti sono più propensi a mentire (53%) prima dell’evento o dell’azione che i loro genitori non perdonerebbero. Tuttavia, dire la verità o rivelare informazioni è avvenuto più spesso dopo che avevano già intrapreso l'attività disapprovata dai genitori (il 35% ha rivelato l'attività vietata poco dopo, l'8% ha mentito per un periodo prolungato prima di confessarsi e il 23% ha detto la verità in un tempo non specificato).

Non è sorprendente (per qualsiasi genitore di adolescenti) che gli adolescenti coinvolti nello studio si siano dimostrati intelligenti e versatili nei loro approcci: in genere hanno parlato di strategie aggiuntive oltre a quelle specificamente richieste dai ricercatori, di come abbiano utilizzato più strategie riguardo allo stesso evento.

“La rivelazione potrebbe non essere la prima cosa che fanno. Forse hanno cercato di farla franca senza dirlo ai loro genitori. O forse prima hanno nascosto e poi hanno confessato. Si tratta davvero di sfumature di grigio, di solito non di bianco e nero” afferma la professoressa Smetana.

Rivelare (o dire la verità) dopo l'evento è stato associato alle lezioni apprese e la rivelazione volontaria alla crescita psicologica. Così come il controllo psicologico degli adulti –  una genitorialità invadente, manipolativa o irrispettosa che mina il ragazzo – è risultato associato a “lezioni” personali negative.

Sebbene tutta una serie di studi abbiano esaminato la comunicazione e la segretezza degli adolescenti, i tempi in cui avvengono non sono stati studiati in precedenza. Tuttavia, il tempismo, afferma la professoressa Smetana, è cruciale e ha implicazioni sul modo in cui gli adolescenti interpretano queste esperienze, comprese le lezioni di vita apprese.

Ai partecipanti allo studio è stato chiesto cosa, se non altro, avevano imparato dalle loro esperienze raccontate di confessione e menzogna. Non tutti si sono rivelati “buoni”. La lezione appresa sulla menzogna, infatti, potrebbe essere: 'Sono un bravo bugiardo!'.

Nel complesso, i ricercatori hanno scoperto che, indipendentemente dall’età, dire volontariamente la verità (o parte di essa) era associato all’indicazione di cambiamenti positivi da parte degli adolescenti, come una maggiore crescita psicologica nella comprensione di se stessi, dei propri obiettivi, dell’autoefficacia o delle connessioni con gli altri e con i genitori. Quando si è trattato di esperienze di verità, il gruppo di ricerca ha notato che le narrazioni di “confessione” contenevano più motivazioni, intenzioni e desideri, rispetto alle narrazioni degli adolescenti sull'occultamento o sulla menzogna.

"Avevano una migliore comprensione psicologica di se stessi e attribuivano più significato psicologico alla rivelazione, che all'occultamento o alla menzogna".

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Al contrario, gli adolescenti traevano conclusioni più negative quando raccontavano esperienze di menzogna, come visioni più pessimistiche e meno chiarezza su se stessi, emozioni più negative o un’immagine di sé peggiore. Inoltre, rivelare l’evento narrato dopo, piuttosto che prima, era associato a una maggiore probabilità di apprendere una lezione su sé stessi.

La menzogna spesso va di pari passo con una serie di altri problemi. Nel corso del tempo, mentire regolarmente ai genitori è associato a relazioni adolescenti-genitori più scadenti e a comportamenti problematici da parte degli adolescenti in futuro, ha evidenziato la dottoressa Smetana in uno studio del 2015. Soprattutto nel caso della menzogna, la probabilità che un adolescente soffra di depressione aumenta nel tempo.

Precedenti ricerche, osservano gli studiosi, hanno dimostrato che i ragazzi tendono a mentire ai genitori più delle ragazze, forse perché sono più propensi a impegnarsi in attività devianti. Tuttavia, le pressioni dei genitori affinché dicano la verità portano nel tempo ad un aumento dello stress per i ragazzi e dell’ansia e della depressione per le ragazze.

La rivelazione e la menzogna sono azioni “complesse e sfumate”, che variano in termini di tempistica, coerenza e volontarietà. Queste caratteristiche contribuiscono al modo in cui gli adolescenti interpretano, comprendono o danno un senso agli eventi della vita, alle relazioni, agli altri e a se stessi, cosa che gli psicologi chiamano creazione di significato.

Secondo la dottoressa Smetana, i ricercatori pensavano che i genitori che controllano i propri figli – che hanno regole ferree e chiedono sempre ai loro figli cosa stanno facendo – sarebbero in grado di tenere i loro figli fuori dai guai. Ricerche più recenti, tuttavia, indicano che il monitoraggio dei genitori non migliora la conoscenza da parte dei genitori della vita dei propri figli. Tutto dipende, invece, dalla volontà dei ragazzi di condividere le informazioni.

"Fai tutto il possibile per essere reattivo e mantenere aperte le linee di comunicazione in modo che i tuoi figli te lo dicano volontariamente, non sotto pressione" è il consiglio della studiosa.

La chiave per condividere informazioni pertinenti sono le relazioni cordiali e fiduciose genitore-figlio che si sviluppano prima dell'adolescenza e continuano per tutta la vita. Ci sono alcune cose che gli adolescenti scelgono di non rivelare perché considerano che le questioni personali e private non siano affari dei genitori.

In una certa misura questo va bene, osserva la professoressa Smetana, perché aiuta a promuovere l'autonomia degli adolescenti. Ma genitori e adolescenti spesso la pensano diversamente su ciò che è privato e alla fine spetta all’adolescente decidere in merito, rispetto a ciò che i genitori dovrebbero sapere per tenere i propri figli al sicuro. Gli adolescenti potrebbero quindi non parlare ai genitori di comportamenti rischiosi, ad esempio, perché hanno paura di finire nei guai o che i loro genitori li considerino meno.

"È qui che la fiducia e una buona comunicazione sono particolarmente importanti, perché potrebbero mitigare le possibili reazioni negative dei genitori".

In una ricerca precedente, la studiosa aveva chiesto ai genitori quanto pensavano di sapere sulle attività dei loro figli adolescenti e aveva scoperto che i genitori sopravvalutavano notevolmente le loro conoscenze.

"Anche nelle famiglie in cui esistono buoni rapporti, i genitori non sanno tanto quanto pensano di sapere".

Questa sopravvalutazione, riconosce la professoressa Smetana, vale anche per quanto è accaduto a lei con suoi figli, ormai cresciuti.

Solo dopo che se ne furono andati di casa, confessa, ha appreso alcune delle cose che facevano da adolescenti. «Niente di troppo pericoloso. Eppure sono rimasta molto sorpresa. Studio questi comportamenti da tanti anni e nemmeno io con i miei figli riuscivo a sapere tutto” conclude un po’ amaramente la studiosa.


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