Tra le cose più belle che mi sia mai capitato di fare c’è la collaborazione con una compagnia teatrale che prende le mie parole e gli dà corpo.
Le parole sono quella della favola “Papà di sole, papà di tempesta” (ed. meridiana 2015, solo e-book), splendidamente illustrata da Giulia Boari. È una storia nata per dare parole agli insegnanti, ai genitori, agli educatori, in modo che possano parlare con i bambini di rabbia e di violenza.
La compagnia è il Teatro dell’Argine di San Lazzaro di Savena (Bologna) che ha deciso di lavorare su questa storia e di farne uno spettacolo di teatro ragazzi.
Il regista, Paolo Fronticelli, mi ha chiesto di comporre due filastrocche, una introduttiva per incuriosire gli spettatori e una ninna nanna da cantare per addormentare il protagonista quando è spaventato dalla tempesta del papà. E come resistere?
Mamma, mamma, la tempesta!
C’è qualcosa nella testa.
C’è un bambino che comanda
babbo Osvaldo, qui, che sbanda.
C’è qualcuno più infuriato
di un bambino inascoltato?
Quando strilla e batte i piedi
sta chiamando, non lo vedi?
Vedo, vedo un ragazzino
Nico è il nome, e un bel mattino
lui che è un tipo generoso
sorridente, coraggioso
ha pigliato a pugni il mondo
era proprio furibondo
si credeva un supertutto
hop, un calcio, e ha distrutto
una rosa senza spine
una storia senza fine
una nuvola, un cammello
un gigante, e sul più bello
è scappato dalla scena
sembra un cane alla catena
sembra un fiore che appassisce
tutto solo, e non capisce
cosa scatta nella testa
cosa sia questa tempesta
che anche il babbo, certi inverni
gli propone a giorni alterni.
Non ha un nome e fa paura
molto più di una puntura
di dentista o di zanzara
o di medicina amara.
Ma io dico: non temere
caro Nico, e stai a vedere.
Anche voi che siete tanti
più vicini o più distanti
non cedete alla paura.
Qui la storia si fa dura
ma una strada, a ben guardare
si potrà sempre trovare.
Una strada di maestra
che conosce la tempesta
uno specchio che riflette
prende il brutto e lo converte.
Sarà il babbo, il grande Osvaldo
uomo serio e un po’ spavaldo
che al suo bimbo vuole bene
a spezzare le catene.
Non temere, Nico, e ascolta.
La tua storia avrà una svolta.
Non temere, ti dico. Ascolta.
Ogni storia avrà una svolta.
Le filastrocche giudiziarie
I tribunali per i minorenni prendono ogni giorno decisioni difficili. Scelte delicate, suscettibili certo di errore ma orientate ogni volta sulla valutazione dei rischi e dei danni che un minore patisce, molto spesso per mano degli adulti a lui più vicini vale a dire i suoi genitori e i familiari più stretti.
Negli ultimi anni una retorica mielosa e in bianco e nero ha raccontato storie dove i buoni erano ben distinti dai cattivi e dove la conclusione era invariabilmente una sola: i bambini e i ragazzi devono crescere con i loro genitori. Con loro, chiunque essi siano e comunque si comportino.
Ogni altro intervento, anche quando è temporaneo e di stimolo al cambiamento per giungere a relazioni familiari più serene, viene presentato come crudeltà, come ingiustizia. Avrebbe, ciascun genitore, il diritto di fare dei propri figli tutto ciò che vuole - e di evitare il dolore, per sé e per il bambino. Piuttosto la perversione, il maltrattamento, l'incertezza endemica. Tutto sembra meglio della sofferenza che sta dentro alla crisi e alla necessità di cambiare.
Il cinismo infantile dell'autrice che racconta scelte giudiziarie estreme, eppure ordinarie nelle aula dei tribunali per i minorenni, è uno sberleffo a questa logica e un modo per affermare una volta di più che i bambini e i ragazzi sono persone. Non proprietà, non appendici degli adulti ma persone, soggetti di diritto, nei cui panni occorre provare a mettersi e che è opportuno disporsi ad ascoltare in ogni singola e distinta decisione che riguardi da vicino la loro vita.
Le precedenti filastrocche