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Per gentile concessione dell'autore e dell'editore, pubblichiamo l'introduzione de "Il miele e l'aceto" di Lamberto Bertolè (Novecento editore).

Un giorno mi è capitato di leggere, con sgomento, in un trafiletto di giornale, che un ragazzo di quarta o quinta liceo si era suicidato perché non poteva più attendere di vedere se vi fosse un aldilà dopo la morte e, soprattutto, di sapere quale religione avesse detto la verità, quale fosse il vero Dio. “Se il destino dell’uomo è segnato, che senso ha aspettare?”, deve aver pensato. Il desiderio di assoluto, il bisogno di verità non gli avevano lasciato scampo. E il mio sgomento, nel leggere la notizia, ora lo so per certo, misurava la mia distanza di adulto da quell’età misteriosa, l’adolescenza, che era la sua età e non più la mia.

 20150610 lamberto

Credo si esca da quel periodo dell’esistenza come da un territorio ignoto lasciato alle spalle, semplicemente abbandonato, in gran parte ancora inesplorato. Per molti un territorio nemico. Quando se ne esce. Dico questo perché credo che quasi ogni adolescente abbia sentito, in un qualche momento della sua esistenza, se non la tentazione di non andare oltre, il desiderio di farsi da parte, di smettere di correre. La prospettiva del mondo adulto per la gran parte dei ragazzi si presenta come un salto abissale, una terra separata dal tempo infinito della giovinezza, una solida landa senza variazioni di tinte, noiosissima, desolante, a confronto dell’universo multicolore in cui si trovano immersi. Gli adulti, parimenti, in genere guardano agli adolescenti come a esseri che non si possono comprendere fino in fondo, enigmatici, inquietanti, pericolosi, come si guarda a una parte di sé irrisolta. Dall’adolescenza spesso non si esce evolvendo ma con un balzo, quasi dal buio alla luce, o viceversa. Quella parte della nostra vita non si conforma al resto, non è un pezzo di puzzle da incastrare nella nostra storia, perché è debordante, slabbrata, eccessiva, e carica anche per noi stessi, tuttora, di mistero. È ancora lì, per certi versi, viva e urgente.

In questo libro voglio parlare di adolescenti sapendo che sto parlando anche di me, da adulto che rischia di fraintendere, perché la terra favolosa è troppo piccina o troppo grande per essere esplorata appieno dal suo passo, ma che ce l’ha messa e ce la metterà ancora tutta per capire e intervenire e fare il possibile per guidare i ragazzi che, in quel territorio misterioso, rischiano di perdersi.

Peter Pan è la metafora non solo del ragazzino che non vuole crescere ma anche del ragazzino che non crescerà mai, perché l’evoluzione non lo riguarda. Per certi versi quel ragazzino non diventerà mai grande, lo sappiamo anche guardando a noi stessi, per altri versi, e sarà l’oggetto di queste pagine, quello stesso ragazzino comunque crescerà e sta a noi adulti aiutarlo a vincere la sfida, sbloccando il suo percorso quando si inceppa. Aiutandolo a regalare al proprio destino dignità.

Oggi apparentemente le distanze tra adulti e giovani divengono sempre più brevi, i giovani percepiscono gli adulti meno lontani e più comprensivi. Paradossalmente, in questa situazione di vicinanza, è venuto meno il patto generazionale e con questo anche la solidarietà tra adulti e giovani. Non a caso abbiamo percentuali elevatissime di disoccupazione giovanile.

Un tempo c’era un investimento vero, profondo sulla qualità dell’offerta e delle occasioni di sviluppo e crescita dei ragazzi. Nonostante esista una piramide rovesciata, con tanti adulti a ruotare attorno a pochi bambini, a crescerli con mille attenzioni e una forte vicinanza, non esiste un progetto complessivo sui giovani. Siamo in presenza di una società fatta di adulti che si preoccupano anche della qualità del legno del lettino dei loro bimbi, nella quale esiste una proliferazione di oggetti, di beni, di attenzioni rivolti agli adolescenti, ma in cui non ci si pone con altrettanta determinazione il problema della qualità delle scuole e dei luoghi in cui i ragazzi crescono. Mi sembra una rimozione globale, che pagheremo. Se guardiamo alle scuole di certi paesi nordici, a cominciare dall’architettura e dalla disposizione degli spazi, alla struttura dei banchi, vediamo un progetto, un pensiero che cerca da prima un’idea di convivenza formativa e di interazione tra insegnante e allievi. C’è una considerazione dei tempi morti, del livello del controllo e di quello della libertà, una riflessione su come si deve vivere in un contesto scolastico, dentro e fuori dagli orari della lezione, su cosa deve accadere e su come deve funzionare quel luogo dove i ragazzi stanno ore e ore ogni giorno. Da noi questo non esiste o è lasciato a pochi volenterosi.

Di fronte all’enigma e all’alterità degli adolescenti, che sfuggono mentre cerchiamo di entrare in relazione con loro, contrapponendosi apparentemente a noi, avvolti dal mistero, davanti ai ragazzi di cui non conosciamo tante cose, gli adulti che hanno una responsabilità educativa, sia come genitori sia come insegnanti o educatori, credo abbiano bisogno di maggior consapevolezza e orgoglio, anche, del proprio ruolo. Un maggior rigore nell’esercizio della loro funzione. Gli adolescenti ci pongono sfide molto alte e la capacità di noi adulti di essere all’altezza di queste sfide, di saper ingaggiare il duello con loro, nel senso buono del termine, sostenendo il confronto, è un’occasione unica che possiamo offrire loro per affrontare con successo la sfida della crescita e dell’ingresso nel mondo adulto.

Nella mia esperienza di sedici anni di lavoro, con gli adolescenti da una parte e con i colleghi dall’altra, nel mio confronto con molte famiglie, con genitori e non solo con professionisti, ho incontrato un profondo smarrimento, molta fatica, tante occasioni perse: l’incapacità di cogliere fino in fondo e valorizzare la sfida di essere presenti e protagonisti accanto a ragazzi che crescono. L’obiettivo di queste pagine è di promuovere pensiero e riflessione, per dotarsi di strumenti più adeguati per affrontare le difficoltà della relazione educativa in modo positivo.

20150910 lamberto 2

L’adolescenza è la stagione delle grandi possibilità in cui molto, non tutto, ma molto è possibile. Ho grande fiducia e sono molto attratto da questa dimensione e delle molte strade ancora aperte, dei destini possibili, incrociati, che ancora non sono definiti, e credo che il mondo degli adulti nel suo complesso, oggi spesso sia molto conservatore e si limiti a dirigere il traffico, rassegnato a un inerte passare del tempo. Vedo adolescenti senza sbocchi, lasciati troppo da soli, perché tutto sommato se la cavano o perché sono apparentemente senza strade. Credo che occorra un nuovo, forte protagonismo degli adulti: attivando una conflittualità, quando serve, per vivere attivamente la stagione delle molte possibilità dei ragazzi loro affidati, incrociando davvero i loro destini per attivarli.

Detto questo, penso che esista poi una responsabilità più grande e complessiva che vada indagata, non quella dei singoli adulti ma della società adulta nel suo complesso, della società politica e della classe dirigente, nel senso più lato, del nostro paese, la quale non s’interroga più, davvero, sui bisogni trascurati e sulle responsabilità nei confronti delle nuove generazioni. C’è una grande rimozione del futuro, siamo tutti molto ancorati al presente e nel dibattito pubblico gli adulti competenti, che hanno responsabilità, stanno rimuovendo, al di là della retorica, il tema del futuro dei giovani e quindi anche del nostro paese. Credo sia la questione centrale nel quotidiano dei genitori e di molte professionalità come insegnanti ed educatori. Soprattutto dovrebbe essere il tema centrale dell’agenda di un paese che deve rimbalzare: rialzarsi dalla crisi con un profondo rinnovamento, entrando davvero nel ventunesimo secolo.

Se in queste pagine risuonerà spesso il pronome “io”, non sarà per sottolineare traguardi raggiunti o verità; non accadrà per indicare certezze da ammannire, quanto, al contrario, per legare pensieri e osservazioni alla fallibilità e all’incompletezza dell’esperienza individuale – di quanto ho visto, considerato, imparato mettendomi in gioco in prima persona, con la precisa convinzione di dover ancora e sempre apprendere, in questo campo di energie e dinamiche mai prevedibili o esplorabili una volta per tutte. Vorrei fosse l’”io” del confronto, la testimonianza di chi fa un passo in attesa che qualcuno replichi e dica la propria, in uno scambio vicendevole di esperienze.

Il discorso non è stato sviluppato secondo le macro categorie usuali quando si parla di adolescenti. Non ci saranno capitoli sulla scuola, sulla famiglia, sui genitori, sulla trasgressione e così via. Sono stati messi a fuoco concetti che sono dinamiche, “campi di energia”, immagini e suggestioni, con i quali attraversare trasversalmente questo territorio pieno di chiaroscuri, di zone dimenticate e di altre inesplorabili. La suggestione di un titolo di Georges Perec, che parlava di istruzioni per l’uso della vita, viene oggi applicata a tutti i campi, con un abuso che alla fine ne annulla l’impatto. Un titolo a mio modo di vedere assolutamente inadeguato quando si parla di adolescenza, eppure mi capita di vedere libri che suggeriscono l’idea di strumenti e istruzioni tecniche per la gestione delle difficoltà e delle incognite che derivano da questo momento della vita. Raccoglie, quel titolo, forse il desiderio di genitori ed educatori di avere un argine sicuro da cui muovere, esperienze replicabili, magari trucchi e incantesimi da sciorinare. Niente di più illusorio, posso dire. Non è una tecnica o una scienza, non una fredda e distaccata manipolazione, quello che ci può aiutare nell’affrontare la sfida educativa, ma la consapevolezza che il nostro sapere e le nostre conquiste saranno ogni volta messe in gioco, a volte in scacco, a volte premiate, e che il rapporto con ogni adolescente conterrà anche la sfida di un’avventura mai vissuta prima. Senza mappe e senza rete.


L'intervista di Ubiminor all'autore

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